“Ti prendo per mano e ti porto in vacanza”.
Che bello quando nonna mi diceva questa frase. A Bologna si moriva di caldo e lei mi portava in collina, dov’era nata. Passavo i pomeriggi nei campi e le serate in paese. Il caos cittadino era sostituito per qualche settimana dal cinguettio di uccellini, dalle voci delle madri che dalle finestre richiamavano i figli a tavola e da silenzi interminabili che attraversavano le colline marchigiane nelle ore notturne. Quel giorno non stavo più nella pelle, l’estate prima avevo stretto amicizia con un gruppo di ragazzi e non vedevo l’ora di rivederli.
Mamma e papà accompagnarono me e mia nonna in stazione con largo anticipo perché in tanti a Bologna scappano dall’afa durante i mesi estivi, rimane chi non può permetterselo, e i miei misero sempre al primo posto me e i miei fratelli, loro rimanevano a lavorare, come sempre. Mio padre ci scaricò a pochi metri dall’ingresso e andò a cercare parcheggio, ricordo che in radio passava “Stella Stai” di Umberto Tozzi..
“… Colorando un figlio si può
Dargli i tuoi occhi…”, così faceva, e se ci ripenso ora fa quasi sorridere. Ho gli occhi di mia madre e il cuore di mia nonna. Mia madre, Loredana, e mia nonna, Angelica, madre di mio padre, avevano un buon rapporto per essere nuora e suocera, statisticamente non si va mai troppo d’accordo, ma per loro era diverso. Probabilmente mia nonna aveva visto subito la donna impegnata che era mia madre, aveva visto subito tutti i sacrifici che aveva fatto per la nostra famiglia e mia madre, d’altro canto, vedeva semplicemente quanto quella signora marchigiana che vent’anni prima si trasferì col figlio a Bologna, volesse bene ai propri nipoti.
E io quella mattina del 2 Agosto 1980 dovevo prendere un treno e andare in vacanza con mia nonna. Mia madre doveva darmi un bacio e farmi qualche raccomandazione mentre il treno partiva e io avrei dovuto passare due settimane tra uccellini che cinguettano, madri che dalle finestre chiamano i figli a tavola e silenzi collinari interminabili. E invece ricordo solo silenzi. Interminabili silenzi.
Poi le urla di mio padre e le notti in ospedale, la rabbia, la disperazione, a tratti la speranza di star vivendo un incubo. E poi i discorsi alla tv, i lutti, i manifesti, le commemorazioni, la voglia di capire il perché.
Ma oggi ho solo voglia di ricordare e partire.
Mia madre si chiamava Loredana Molina.
Mia nonna si chiamava Angelica Tarsi.
Non le vidi più, e non tornai mai più in collina.
Ora vorrei tornarci. Per respirare un po’ quello che sarebbe stato, forse, il mio destino.
Per dire ai quei ragazzi conosciuti l’estate prima che non li avevo dimenticati.
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